LO SVOLGIMENTO DEL RITO

Il modo in cui ciascuna comunità “canta il Maggio” è sempre differente e dipende da una maggiore o minore continuità di tradizione; nella maggioranza dei casi siamo di fronte a fenomeni di recupero, revival e re-invenzione della tradizione.

Per una descrizione generale sulle modalità di svolgimento della festa faremo riferimento al Maggio maremmano, cantato in provincia di Grosseto, che presenta insieme parecchi elementi peculiari della festa che altrove si ripresentano solo parzialmente. Infatti, nel secondo dopoguerra la Maremma fu meta di immigrazione da molte zone rurali d’Italia, per la disponibilità di terre coltivabili assegnate dall’Ente Riforma Fondiaria; quest’area è diventata così luogo di scambio e confronto di culture e tradizioni contadine provenienti da ogni parte d’Italia. Qui hanno potuto sopravvivere usanze, mestieri e riti altrimenti scomparsi nei luoghi d’origine, di fatto rinnovando e arricchendo la tradizione toscana.

I componenti del gruppo sono amici, spesso parenti fra loro. Non è detto però che si vedano spesso al di fuori dell’occasione del canto.

Ogni gruppo, o “squadra”, varia da cinque-sei persone fino ad arrivare a più di venti. La rinnovata popolarità che il Maggio sta riscotendo in questi ultimi anni ha portato alla formazione di parecchie squadre, spesso più di una per paese, in competizione musicale tra loro. Si gareggia anche nella ricchezza e vivacità degli ornamenti preparati dai maggerini stessi e dalle loro famiglie: vengono preparati centinaia di fiori di carta colorata per guarnire cappelli di paglia e bastoni; spesso il costume viene completato da fazzoletti al collo e nastri colorati, il tutto però all’insegna della praticità richiesta da una lunga escursione notturna per le campagne. Spesso i bastoni e i cappelli più belli vengono conservati; a volte mantengono vivo il ricordo di maggerini scomparsi.

In Maremma l’usanza si associa indissolubilmente con un’altra pratica tradizionale profondamente radicata: l’improvvisazione in ottava rima. Oltre alle canzoni tradizionali, riproposte ogni anno, il momento più importante delle questue maremmane consiste nelle ottave “personalizzate”, che il poeta del gruppo canta agli ospiti che si vanno mano a mano a visitare, con cui quasi sempre c’è conoscenza diretta. La bravura e la simpatia del “poeta” è la garanzia del prestigio della squadra e del successo delle nottate di canto.

Avvicinandosi a un podere, il poeta attacca con delle ottave di saluto, rivolgendosi al “capoccia”, il padrone della masseria, chiedendogli ospitalità in casa, il cosiddetto “permesso”:

A tutti voi lo chiedo il permesso

Per me e per i miei compagni tutti quanti

E nel vostro cuore io ci vedo

Che di sentir cantar sarete amanti;

se ci date il permesso come credo

noi vi farem sentire i nostri canti

vi canteremo i maggio e si va via

lasciandovi nel cuore l’allegria.

Gino Zucchelli, maggesino maremmano della zona di Cura Nuova (Massa Marittima), racconta come in passato la concessione del permesso ad entrare non fosse una formalità, ma una vera e propria prova di poesia e di resistenza (1): Per entrare nei poderi non era sempre facile: quando fuori faceva freddo ed il poeta era in gamba ci aprivano subito la porta, ma mi ricordo un anno dalla famiglia Braglia alle Case Nuove ci tennero un’ora fuori: il poeta doveva cantà per trovare la chiave per entra’ dentro.

Una volta fatti accomodare, nella cucina o nel soggiorno di casa, mentre vengono offerti dolci e vino, tutti insieme i maggerini cantano in coro il “Maggio” vero e proprio, accompagnati dal fisarmonicista, che in genere è l’unica strumentista del gruppo (si possono aggiungere una o due chitarre, o una seconda fisarmonica a seconda della disponibilità di musicisti. Poi si fanno avanti gli altri componenti “specializzati” della squadra, l’alberaio e il corbellaio, che improvvisano le loro ottave, (i meno tagliati per l’improvvisazione hanno a memoria un’ottava “di baule” da cantare più o meno uguale in ogni casa).

L’alberaio è l’incaricato di portare il “Maggio”, il tronco d’albero decorato sempre con fiori e nastri, che è lo stendardo e il simbolo della squadra. Per Quinto Paroli, poeta del maggio scomparso, era un elemento fondamentale (1) “L’albero come si fa noi ‘un lo fa nessuno. L’addobbo personalmente perché gli altri ‘un so’ boni. L’albero è il simbolo del Maggio e ci tengo che faccia figura, rappresenta la primavera.”

Di Quinto Paroli è anche quest’ottava d’alberaio (1)

Or tocca a me che porto l’alberello

È il simbolo di maggio e primavera

Se lo guardate bene quanto è bello

Pien di vigore con la sua bandiera;

e tutti gli anni fa ‘l ritornello

porta il profumo con aria sincera

e poi di tutto porta l’abbondanza

è vigoroso e pieno di speranza.

Dopo l’alberaio canta il corbellaio, che prende il nome dal corbello, il grosso cesto di vimini che porta sulle spalle. Egli si occupa della raccolta dei doni lasciati da ogni famiglia visitata, prima esclusivamente alimentari (soprattutto uova), oggi perlopiù in denaro. Con le sue ottave incita gli ospiti ad essere prodighi di doni e li ringrazia, magari con qualche battuta di spirito se non ritiene soddisfatto del ricavato. Anche qui citiamo un’ottava di Paroli (1)

Di questa squadra sono un componente

Anch’io il mio dovere voglio fare

Anche se arrivo tardi non fa niente

Ma del buon cuore debbo ringraziare

Di quanto avete dato è sufficiente

Che meglio di così ‘un potevi fare

Vi devo fare i miei complimenti

Vi dico grazie ancora e siano contenti.

A volte, specialmente in Maremma, può accadere che anche il padrone di casa sia abile nell’improvvisazione in ottava rima; ne nascono dei veri e propri contrasti estemporanei che, complice il vino, possono protrarsi anche per parecchie ottave e ritardare il giro della squadra.

Il poeta ringrazia con diverse “ottave di saluto”, e la squadra riparte alla volta della prossima casa. Il giro continua per tutta la notte.

(Testo in collaborazione con Andrea Virili)

(1) Tratto da “Quinto Paroli Poeta del maggio” di Roberto Fidanzi (anno 1997)

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